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LA PRIMA CLASSE DI ESERCIZI BIOENERGETICI IN ITALIA

LA PRIMA CLASSE DI ESERCIZI BIOENERGETICI IN ITALIA

Seconda parte di “Cos’è una classe di esercizi di bioenergetica – ovvero che cosa non è una classe di esercizi di bioenergetica”

di Ellen Green Giammarini

La mia esperienza è stata quella di aver condotto classi senza mai averne frequentate come partecipante, poiché le classi di Esercizi di Bioenergetica non esistevano a New York prima che io la lasciassi.
Per questo potei non dare nulla per scontato, e condurre i partecipanti in ciascuna classe fu in qualche misura un’avventura nell’ignoto. Questo mi spinse a riflettere, in ogni fase delle classi, sia a un livello teorico che sul piano concreto. Ed è questo aspetto, credo, che rende utile un racconto particolareggiato dell’esperienza.
Ecco una descrizione dei partecipanti e del modo in cui condussi queste prime classi.

La prima classe di Esercizi Bioenergetici a Roma negli anni Settanta

Le persone che a Roma diedero inizio al progetto di classi di Esercizi Bioenergetici erano intellettualmente vive, come era evidenziato dai loro studi dedicati al lavoro di Wilhelm Reich, che in alternativa li avevano portati logicamente verso il lavoro di Alexander Lowen.
Mi sembrò infatti che il loro interesse per gli Esercizi Bioenergetici avesse una componente intellettuale così ampia da rivelare un possibile tranello. La mia impressione era che si aspettassero che io condividessi qualsiasi conoscenza possedessi circa questi esercizi, per parlarne insieme, teorizzare della loro efficacia e gioire pienamente a un livello intellettuale. Perciò all’esordio evitai di parlare degli esercizi, mentre mi dichiarai pronta a farli con il gruppo.
Così iniziò la prima classe di esercizi di bioenergetica a Roma.
Alcuni dei partecipanti erano in Vegetoterapia Reichiana, altri no. L’Analisi Bioenergetica non era ancora praticata in Italia.

Quale fu l’approccio che usai? Condussi le classi massimizzando l’azione e minimizzando la discussione. Le spiegazioni furono date a piccole dosi. Le istruzioni verbali per gli esercizi potevano includere brevi spiegazioni del loro campo d’azione e del loro scopo, spesso unite con indicazioni attraverso il contatto: una leggera pressione esercitata con la mia mano in modo tale da aggiustare la posizione o la postura di qualcuno era più eloquente e di maggiore aiuto di una profusione di spiegazioni.
Con questo particolare gruppo mi sembrò che fosse particolarmente importante operare il più possibile a un livello non verbale.

Infatti, in questo gruppo a un estremo si trovava l’approccio intellettuale agli esercizi, mentre all’altro c’era un interesse primario sul come questi potessero condurre all’espressione emozionale, o specificamente all’ “esplosione” emozionale.
Procedendo spiegai alla classe, nel suo insieme, che durante il lavoro fisico (gli esercizi stessi) la nostra attenzione era diretta ai nostri corpi, senza che ci fosse una ricerca mentale di risultati a qualsiasi livello. Lasciarsi andare alle lacrime era un fenomeno positivo, risultante dall’approfondimento della respirazione e dall’allentamento delle tensioni muscolari, tensioni che probabilmente si erano create originariamente allo scopo di trattenere le lacrime. Tuttavia, allora non stavamo ricercando quello specifico allentamento. Stavamo semplicemente facendo gli esercizi in un modo specifico – la modalità bioenergetica – mentre il risultato accadeva.
Con questo tipo di approccio stavamo anche imparando a permettere al risultato di venire.

Il mio lavoro consistette in ampia misura nel dirigere l’attenzione di ogni partecipante verso il proprio corpo.
Scoprii anche che l’abilità del conduttore consiste meramente nel dirigere l’attenzione senza dire ai partecipanti che cosa dovrebbero sentire, ma semplicemente aiutandoli ad arrivare al sentire, qualsiasi siano i sentimenti e le sensazioni nel loro corpo.
Dove una persona sente tensione o sforzo un’altra può sperimentare sensazioni fluenti.
Dove un esercizio originariamente causa dolore può, con le ripetizioni e l’allentamento della tensione, procurare piacere.

ESERCIZI BIO AL SEMINARIO GEA MOMBARUZZOUna preziosa esperienza

È soprattutto qui che la mia esperienza nell’insegnamento agli attori è stata di inestimabile aiuto. Poichè, sebbene la sensibilità sia la vera e propria sostanza – la materia prima – dell’arte dell’attore, egli non lavora mai direttamente sulle emozioni (Stanislavsky).
Quando in una classe di Esercizi Bioenergetici i giocatori di ruolo (Role Players) dell’esistenza iniziano a prendere contatto con i propri corpi, attraverso gli esercizi che stanno facendo, stanno cominciando a entrare in contatto con la realtà (con ciò che sentono realmente) e dunque stanno facendo i primi passi verso l’essere.

In questa prima classe di Esercizi Bioenergetici a Roma tutti i miei commenti e le mie spiegazioni erano distribuiti lungo l’arco del tempo e sempre dati congiuntamente con il lavoro fisico che veniva fatto. Dissi ai partecipanti che l’effetto degli esercizi come dell’uso regolare del cavalletto bioenergetico era cumulativo e non poteva essere istantaneo. Ciascun partecipante avrebbe progredito – o iniziato un suo processo – con i propri ritmi e la propria velocità.

Un lavoro fisico introduttivo potrebbe essere (ad esempio) semplicemente quello di chiedere ai partecipanti di stare con i piedi paralleli e separati, le ginocchia piegate (o “sbloccate”) e di lasciare il proprio peso andare giù giù giù…

Quando, in seguito all’approfondimento della respirazione, si verificava spontaneamente una reazione emozionale durante un esercizio, ciò spesso causava paura o perfino sensazioni di panico nei partecipanti. Per chi era in terapia tale allarme era meno acuto e, vorrei sottolineare, l’insieme dell’esperienza poteva essere rinviata al terapeuta alla seduta successiva. Tuttavia, se un partecipante non in terapia mostrava segni di avere tali difficoltà, andavo da lui immediatamente, suggerendogli di interrompere l’esercizio e di raggomitolarsi nella posizione intra-uterina. Di solito mantenevo un contatto fisico con lui, posandogli la mano sulla spalla o sul braccio, se tale contatto era gradito e di conforto.
Mentre il resto del gruppo continuava a lavorare, io passavo quindi a spiegare alla persona in questione, in termini generali e principalmente fisici, in che cosa credevo consistesse la difficoltà. Per esempio: la respirazione si era ampliata troppo e troppo rapidamente; era a un volume tale che il partecipante non poteva ancora contenere. La cosa più importante che dicevo era che avremmo fatto bene a procedere molto lentamente e che la sua capacità di respirare in modo più profondo e di sostenere certi esercizi sarebbe cresciuta gradualmente, come la sua capacità di lasciarsi andare alle lacrime.
Dicevo in modo del tutto franco che non faceva parte dei miei scopi entrare nel merito (cioè analizzare) degli specifici contenuti emozionali dei problemi che causavano le sue difficoltà presenti. Queste conversazioni a tu per tu si svolgevano nel modo meno drammatico possibile. Anche questo faceva parte del mio sforzo di mantenere la distinzione tra le classi, dove ci incontravamo regolarmente per fare Esercizi Bioenergetici, e la situazione di terapia di gruppo.

Se uno dei partecipanti stava gridando e non semplicemente esprimendo le sue sensazioni di disagio in una forma verbale, io gestivo la situazione esattamente nello stesso modo. Mi sto riferendo all’urlare inteso come esperienza di un fenomeno spaventoso, non come una naturale liberazione spontanea. All’inizio uno o più dei partecipanti alla classe che avevano avuto esperienze di terapia di gruppo venivano a toccare e parlare o tenere il partecipante che stava gridando. Non incoraggiavo questo comportamento. In effetti, senza offendere i sentimenti di coloro che volevano dare conforto, tendevo a scoraggiarlo attivamente. La ragione era, precisamente, che volevo mantenere la distinzione menzionata sopra. Il supporto attivo, il conforto e la solidarietà degli altri membri del gruppo sono un elemento essenziale delle sessioni di terapia di gruppo, come quei partecipanti che avevano più esperienza e buone intenzioni sapevano. Tuttavia io non stavo lavorando per il tipo di sblocco emozionale o per il tipo di esperienza che sono lo scopo della terapia di gruppo. Così sentivo che era meglio gestire questi eventi quietamente, da me stessa, sulla base di un rapporto uno-a-uno, mentre ciascun altro continuava il lavoro sul proprio corpo nello specifico esercizio che era in corso in quel momento. In effetti, non volevo che le regole o le atmosfere di una seduta di terapia di gruppo si insinuassero nella classe di esercizi. Una terapia di gruppo è una delle cose che la classe di Esercizi di Bioenergetica non è, anche se una classe di Esercizi di Bioenergetica è terapeutica.
Si può esprimere lo stesso pensiero nella forma di una domanda: se una classe di Esercizi di Bioenergetica è una terapia di gruppo di Analisi Bioenergetica, allora perchè viene distinta con una denominazione differente?
Questa questione non diventò pressante, ma probabilmente la formulai nella mia mente per la prima volta per via del comportamento dei partecipanti (con esperienza di terapia di gruppo) nella prima classe di Esercizi di Bioenergetica data in Italia.

Direzione: dentro di sé

Durante questi interludi uno-a-uno trovai che era abbastanza possibile dirigere la mia attenzione sulla classe come un tutto, seguire il suo lavoro e perfino dare occasionali istruzioni verbali senza disturbare indebitamente il confortevole contatto con il membro della classe che non stava partecipando agli esercizi in quel momento. Difatti, come dichiarato dall’inizio, avevo incoraggiato tutti i partecipanti a concentrarsi su ciò che stava accadendo e su quello che stavano sentendo all’interno del loro proprio corpo, a entrare e a vivere nel proprio corpo, lasciando cadere il controllo e altri tipi di attività mentale per quanto possibile, durante la sessione di esercizi.

C’erano delle eccezioni a questo totale auto-assorbimento (o assorbimento nel proprio corpo), riguardo certi esercizi intrapresi insieme con altri partecipanti, ma era nondimeno una regola-guida generale e principale alla quale incoraggiai ciascuno ad aderire.

La mia scelta di comunicare con tutta la classe o su una base uno-a-uno era fatta semplicemente in accordo con ciò che sembrava più idoneo in ogni specifico momento del contesto della classe. Sentivo che il processo in evoluzione dei membri della classe, ciascuno coinvolto nella propria esperienza corporea, non doveva essere bloccato o interrotto, né doveva esserne cambiata la qualità a beneficio di un altro partecipante. Inoltre, notai che se il processo della classe era in pieno ritmo, in questo modo (cioè evitando di interromperlo per l’emergenza di un singolo) il partecipante singolo non era imbarazzato per qualsiasi difficoltà stesse incontrando e si sentiva più libero di prendersi il tempo necessario per occuparsene. In tale contesto la comunicazione uno-a-uno era più appropriata.

Diventò sempre più chiaro che il conduttore poteva avere bisogno di scegliere la comunicazione uno-a-uno in qualsiasi momento durante la classe e non soltanto in occasione dell’emergenza di picchi emozionali.
Talvolta semplicemente guardando il corpo di una persona appare evidente che ha bisogno di un extra di spiegazioni verbali (o tocchi), che potrebbero non essere necessariamente di aiuto (e potrebbero perfino essere causa di distrazione) per gli altri membri della classe.

Per quanto riguarda gli esercizi “chiassosi”, per alcuni partecipanti l’urlare, il gridare e lo strillare degli altri membri della classe era stato emotivamente disturbante e aveva risvegliato sensazioni di angoscia prima che essi stessi avessero colto l’opportunità di protestare vocalmente. In questi casi spiegavo, ancora su una base uno-a-uno, che tale reazione era probabilmente dovuta ai propri impulsi a gridare (o “aggredire”) inibiti, insieme con un grande bisogno di darvi sfogo. La situazione collettiva aiuta qui grandemente il processo dello “sfogare”, poichè i primi timidi sforzi che potrebbero risultare imbarazzanti per il novizio vengono sommersi nel clamore generale.
Molto spesso quei partecipanti che pochi minuti prima avevano insistito “non posso”, o “non ne ho bisogno”, oppure “non voglio” urlare, lo facevano poi al meglio di se stessi. Le sensazioni di sollievo e di soddisfazione che sperimentavano dopo di ciò erano abitualmente un piacere a vedersi.

Uno spazio per parlare

Dopo alcuni mesi trascorsi utilizzando questo approccio, pensai che i partecipanti avessero sperimentato gli esercizi fisici in misura sufficiente da poterne parlare a un livello teoretico, senza distorcere o sminuire la materia: precisamente il lavoro corporeo. Allora divenne evidente che i membri della classe erano più avanzati in questa materia di quanto avessi capito.
Avevo deciso di dedicare l’ultima mezz’ora di questa particolare classe a quella discussione degli esercizi bioenergetici che i partecipanti avevano così tanto desiderato ingaggiare durante l’orario dedicato alla classe quando avevano iniziato a lavorare insieme.
Ora il mio suggerimento di parlarne fu accolto invece con espressioni facciali vuote o distratte. Come iniziai a dire che intendevo fare una discussione di classe sentii impazienza e frustrazione intorno a me. Le persone erano nei propri corpi. Cioè stavano sentendo la propria energia muoversi a quel livello e mentre ciò accadeva non avevano alcun desiderio di innalzarla su un piano intellettuale.
Fu un momento stupendo. Cedetti immediatamente e continuai il lavoro fisico.

Questa esperienza indicò la potenza e il valore degli esercizi e mi sembrò anche che l’approccio usato fosse corretto. Potevano queste persone essere le stesse che soltanto pochi mesi prima erano interessate principalmente all’intellettualizzazione della Bioenergetica, che avevano sempre dimostrato nella classe, in quel periodo, una resistenza abbastanza forte a fare gli esercizi?
Il livello di concentrazione individuale dei membri, così come quello della classe come un tutto, aveva raggiunto proporzioni sorprendenti in un tempo molto breve. Si manifestava in un profondo rispetto per i processi autonomi del corpo e in una crescente capacità di arrendersi anche a livello dell’Io a questi processi, perfino da parte dei partecipanti più “intellettuali”. I commenti scherzosi, le canzonature e le molestie verso gli altri, che avevano prevalso all’inizio, cessarono completamente. Erano state sintomatiche della combinazione di una resistenza intellettuale rispetto al corpo e di una dissimulazione delle disagevoli sensazioni di autoconsapevolezza che erano emerse quando l’intelletto aveva iniziato a cedere il suo controllo. Dopo di ciò fu difficile qualsiasi ciancia durante la classe e, con l’eccezione dei periodi dedicati agli esercizi fragorosi, prevalse un silenzio completo, rotto soltanto dal suono del respiro.

Non ho fatto questo resoconto per dimostrare che non c’è tempo e spazio per le discussioni intellettuali e le teorizzazioni. Semplicemente, per confermare che il momento e il luogo appropriato non è nel mezzo di una classe di Esercizi di Bioenergetica. Né è all’inizio.
L’arte dell’insegnamento qui consiste nel comunicare il campo delle attività che vengono intraprese in modo tale da aiutare i partecipanti a muoversi in direzione del corpo fin dal principio.

Abitualmente “in modo tale” significa: una frase alla volta e in momenti scelti. Anche il tono di voce con cui vengono date le istruzioni è di importanza primaria: non è finalizzato a pilotare l’attenzione verso il conduttore e interrompere un inizio di concentrazione, ma a comunicare con le persone che stanno cominciando a essere coinvolte nel lavoro corporeo e ad aiutarle a un livello pratico in ciò che stanno facendo in quel momento. Non è il tono di voce con cui si tiene una conferenza di tipo logico indirizzata all’intelletto, né si tratta di istruzioni e/o di spiegazioni fatte come digressioni didattiche.
In breve, la voce è non intrusiva, ma in armonia con ciò che sta accadendo o che viene fatto in un dato momento.

Certo, una o due frasi possono essere pronunziate giusto all’inizio della classe, prima che il lavoro cominci, sebbene io preferisca avere le persone in piedi con le ginocchia piegate che lasciano cadere giù il peso (eccetera!) fin dall’inizio, incluso il momento in cui vengono fatti i commenti introduttivi. Ciò significa stabilire immediatamente le giuste priorità, sia per il conduttore che per i partecipanti.

Altre opportunità per le discussioni intellettuali venivano trovate al di fuori delle classi. In questo modo veniva stabilito chiraramente un importante principio, che fu mantenuto per il resto del tempo che condussi classi a Roma: all’interno della classe stessa in primo luogo occorre aiutare i partecipanti a sperimentare gli esercizi su se stessi e in seguito, lentamente, all’interno del processo del lavoro corporeo, e non a sue spese, imparare le teorie sottostanti nei loro aspetti profondi e sottili.
Ripeto che, ovviamente, un certo ammontare di teoria viene sempre dato con le istruzioni su come fare gli esercizi, ma il dosaggio è molto importante. Viene fornita abbastanza teoria per il fare nel momento, ma non tanta da dirigere l’attenzione dei partecipanti lontano dal proprio corpo e verso le elucubrazioni intellettuali.

Azioni a volte un po’ speciali

È importante sottolineare che l’uso del verbo “fare” qui non è correlato all’attività meccanica: qualsiasi “fare” nelle classi è in relazione alle sensazioni e ai vissuti corporei (“il fare che conduce all’essere”). Così il “fare” qualche volta può sembrare quasi inattivo, come nell’esempio dato sopra circa lo stare semplicemente in piedi e lasciar cadere il peso. Si tratta di un approccio biologico ed energetico (donde bioenergetico) a un processo naturale di approfondimento del respiro e di liberazione delle energie bloccate nei muscoli tesi. Qualche volta i movimenti che ne risultano sono ampi e attivi, ma il proposito non è mai la perfezione meccanica dell’esecuzione.
Per il concetto di esercizi bioenergetici è fondamentale tenere conto del fatto che dove all’inizio ci sono energia e sentimenti congelati seguirà grazia in movimento. Fondamentale per questa grazia è il lavoro sul radicamento. Il conduttore può, anzi dovrebbe, rispettare il desiderio dei partecipanti di imparare gli esercizi a un livello intellettuale, ma mai a spese della loro vera natura e funzione, che deve essere percepita su un piano fisico. Una pura e semplice conferenza tenuta alle persone interessate a intraprendere gli esercizi può essere di aiuto. Ma non come una prova di una classe di partecipanti pronti e desiderosi di iniziare.

Mentre la prima classe a Roma era composta sia da persone che erano in terapia che da persone che non lo erano, più tardi, quando le classi crebbero di numero, la maggior parte erano costituite esclusivamente da persone non in terapia. In entrambi i casi, all’inizio spiegavo molto chiaramente lo scopo degli Esercizi di Bioenergetica: aiutare ciascun partecipante a entrare in un contatto più profondo con il proprio corpo, ad accrescere le sensazioni nel corpo, divenire consapevole delle tensioni muscolari e dei blocchi e, lavorando con il movimento e la respirazione, attraverso un processo molto graduale, tentare di rilasciarli. Il risultato a cui speravamo di arrivare con questo processo era un fluire più libero dell’energia nel corpo, che avrebbe portato a un maggior sentimento di vitalità, che a sua volta avrebbe accresciuto la capacità dei partecipanti di provare piacere.

Tutto ciò è stato detto molte volte e molto meglio nei libri del dottor Lowen. Ma queste semplici verità circa il lavoro in Bioenergetica devono essere trasmesse nelle classi di Esercizi di Bioenergetica al fine di comunicare il campo delle attività intraprese, in modo tale da aiutare i partecipanti a muoversi verso un orientamento corporeo fin dall’esordio.

Il resoconto sulle prime classi a Roma illustra un altro fattore importante. Quando le persone sono state dominate da propri processi mentali per quasi tutta la vita, questi esercizi le metteranno molto presto in contatto con le loro sensazioni e sentimenti, cioè con i loro processi corporei. Tra gli uomini e le donne che sopravvivono sotto la pressione della vita di città della nostra epoca, i mezzi che forniscono un aiuto in direzione del sentimento, di una maggiore vitalità fisica, rappresentano un bisogno urgente. Ciò era dimostrato inoltre dalla velocità con cui cresceva il numero delle classi a Roma, simultaneamente all’allungarsi della lista di attesa. Non c’era alcun annuncio pubblicitario ma il numero delle classi aumentava in modo costante, mentre le raccomandazioni verbali passate da persona a persona ne generavano la richiesta. I partecipanti comprendevano studenti universitari, insegnanti scolastici, impiegati di banca, casalinghe, medici, psicologi, psicoterapeuti e altri professionisti. Perfino un ufficiale dell’esercito.

Esperienza e formazione

Il fatto che nelle prime classi sopra descritte parecchia gente fosse in terapia reichiana costituì per me una sfida utile e precoce per mantenere la differenza tra classi di Esercizi Bioenergetici e terapia di gruppo di Analisi Bioenergetica.
Ora, guardando retrospettivamente, dopo aver completato la formazione e la pratica come analista bioenergetica durata diversi anni, sono convinta che l’approccio usato fosse intrinsecamente corretto.

Dando una valutazione del mio lavoro non dico che fossi dotata di modestia professionale perché non arrivavo a considerarmi una professionista nel campo della Bioenergetica. Dovrei dire piuttosto che ero preoccupata circa la potenza sia psicologica che fisica degli esercizi nelle mani di una non-professionista (me stessa) che istruiva altri esseri umani nel loro uso.
Aggiungerò: fu un timore salutare. Mi consentì di impostare i limiti in modo intuitivo.

Mentre non ero un’analista bioenergetica qualificata avevo una specifica esperienza di lavoro e di vita e una formazione che mi abilitò (è mia opinione) a condurre le classi in modo adeguato e senza distorsione del loro campo e delle loro funzioni basilari.
Certo, anche allora pensavo che sarebbe stato meglio essere un’analista bioenergetica qualificata. Nondimeno, l’esperienza ha mostrato che il fatto che a condurre una classe di Esercizi Bioenergetici sia un analista bioenergetico qualificato non è di per sé una garanzia che la classe non sarà distorta in ciò che una classe di Esercizi Bioenergetici non è (un triplo negativo non fa un positivo!).

Il modo di lavorare descritto era anche un’espressione del mio stile personale. Gli stili personali sono sempre diversi e possono estendersi su una gamma ampia quanto tutti i colori dell’arcobaleno, se sono basati su concetti chiari e su validi principi fondamentali.

In questa prima esperienza nella conduzione di classi di Esercizi Bioenergetici, un certo numero di principi fondamentali erano già emersi. Questi concernevano: la priorità dell’approccio fisico che include il grounding, l’importanza di stabilire questa priorità fin dall’inizio, la misura dei commenti introduttivi per una classe nuova, la quantità e il contenuto delle spiegazioni verbali e delle istruzioni date durante la classe, il mettere in rapporto con il lavoro fisico che si sta facendo tutti i commenti e le spiegazioni e le indicazioni, l’uso della comunicazione uno-a-uno nel percorso della classe, la voce del conduttore, l’importanza di non essere intrusivi e di rispettare la classe e/o la concentrazione individuale, l’uso del contatto fisico da parte del conduttore, alcuni esempi di esplosioni emotive o di reazioni emozionali e come trattarli nelle classi, il non trasformare la classe di Esercizi Bioenergetici in un gruppo di terapia di Analisi Bioenergetica, che potrebbe essere incluso nel principio che riguarda il mantenere il lavoro all’interno dei propri giusti limiti.

Come le richieste di classi aumentavano, così il bisogno di conduttori di classi divenne più pressante.
È qui che iniziò il mio maggiore interesse verso queste classi come mezzo di aiuto per “ogni essere umano”, il migliore per quelle persone che non desiderano entrare in psicoterapia.
Questo interesse non nega l’utilità delle classi per quelli che già sono in terapia, o anche come un’esperienza che per qualcuno può eventualmente portare al desiderio di entrare in terapia. Tuttavia, quando parlo di classi di Esercizi Bioenergetici per l’ “uomo della strada”, sto immaginandole su una larga scala sociale, cioè su una scala non adeguata a qualsiasi approccio o metodo che si indirizza soltanto verso gli individui. Credo che le classi di Esercizi Bioenergetici potrebbero essere date a diversi strati sociali e a differenti classi di età, dagli scolari agli anziani.
Per questo è necessario prevedere un numero sufficiente di persone qualificate che debbono essere non soltanto adeguatamente ma anche accuratamente preparate come conduttori di classi di Esercizi Bioenergetici.

Tratto da International Journal of Bioenergetic Analysis. Traduzione di Piero Rolando, a cura di Luciano Marchino
Pubblicato sulla rivista Anima e Corpo online n° 6 e 7