Donate
News

LA NOSTRA NUOVA CASA, STORIA DI UNA “RIANIMAZIONE”

LA NOSTRA NUOVA CASA, STORIA DI UNA “RIANIMAZIONE”

Nel marzo 2016, dopo circa quattro mesi di ricerche, abbiamo trovato quella che sarebbe diventata “la nostra casetta nuova” come aveva detto mia moglie Marilinda.

Dal momento che l’idea di come la casa avrebbe potuto diventare è stata mia, così come il progetto di ristrutturazione, seppure con contributi importanti di mia moglie, del Feng Shui Master S.V. e dell’amico architetto che ha presentato la SCIA, adesso che i lavori e gli arredi sono quasi completati, vorrei mostrare i vari passaggi che hanno “rianimato” una vecchia casetta del 1960 trasformandola nella nostra attuale abitazione.
Ubicazione casa a satellitePrima abitavamo all’estremo nord della città, in collina, in una zona chiamata Valdonega; ora siamo a circa 7 chilometri di distanza all’estremo ovest della città, in pianura sull’antico terrazzamento dell’Adige, in direzione del Lago di Garda, in un sobborgo chiamato San Massimo.

Deciso a cambiare casa fuggivo da una zona paesaggisticamente molto bella ma in forte tensione compressiva, divenuta col tempo per me insostenibile, e prima di tutto mi ero messo a cercare una zona adatta a me, ipersensibile e problematico, cioè dove il terreno fosse “neutro” ovvero la sua assorbanza e la sua emittanza fossero bilanciate e non intervenissero nel mio stato di salute.

Molti posti che avevo visto sarebbero andati bene sotto questo aspetto ma presentavano problemi legati all’intensità di campo elettromagnetico tecnologico: giravo in auto con la mia strumentazione e mi fermavo a misurare l’intensità di campo in quei posti che come scambio energetico naturale avrebbero potuto andare bene. Ma l’aumento del numero di emittenti e della loro potenza anni faceva sì che dovessi scartare tutti i posti che misuravo.

Alla fine avevo dovuto fare un compromesso e cercare un posto che sarebbe stato vivibile schermando la casa.S Massimo geologica ok
La zona migliore dal punto di vista dello scambio energetico era risultata quella del terrazzamento dell’Adige che si rialza di circa 10 metri sulla Spianà. Sulla carta geologica si vede bene segnato in rosso “l’orlo di terrazzo in depositi fluvioglaciali” che divide la parte più bassa a est verso la città dalla parte a ovest fatta di “alluvioni fluvioglaciali dell’antica conoide dell’Adige, ghiaiose e ciottolose, del terrazzo basso“.

Il paragone tra le due carte, la geologica del 1977 e la satellitare attuale, è sconcertante per quante case ci sono in più adesso.
Nella zona di terrazzo basso (ce n’è un altro più a ovest che è più alto) c’erano aree che potevano andarmi bene rispetto ai campi da teletrasmissioni nel borgo di San Massimo. Perciò avevo concentrato lì le ricerche della casa.

Visionavo tutti i siti delle agenzie di vendita immobiliare e tutte le offerte di vendita di case, poi andavo a vedere i posti e a fare le misure di campo, e se poteva andare ci tornavo assieme mia moglie.
Per mia volontà cercavamo una casa singola con giardino, anche piccola, e non un appartamento.

Ci volle un po’ a trovare quella che poi avremmo scelto poiché le agenzie non mettono gli indirizzi degli immobili che propongono e il borgo di San Massimo è bello grande.
Cercavo di individuare le case che mi interessavano girando in auto per il borgo con le foto stampate dai siti, ma non era facile, anche perché io non conoscevo bene la zona.

Alla fine fu per caso: al ritorno dal sopralluogo a una villetta che costava poco ma si era dimostrata troppo grande per le nostre possibilità di spesa nella ristrutturazione, Marilinda mi disse “passiamo da via Fusara, così rivediamo il posto dove abitavo quando ci siamo conosciuti, che da tantissimi anni non lo abbiamo più rivisto”. Allora allungando di poco la strada del ritorno imboccammo Via Fusara e dopo aver parcheggiato pensammo di fare due passi per rivedere la casa dove avevamo abitato assieme la prima volta nel 1987 durante la ristrutturazione della casa precedente.ingresso e facciata dalla strada

Ma appena scesi dall’auto ci trovammo di fronte la casa col cartello “vendesi”, già vista in internet, che non avevo ancora localizzato nei miei giri.
L’interesse si catalizzò subito nel capire se poteva andarci bene perché il prezzo era buono ed era piccola abbastanza da consentirci di poterla ristrutturare.

Dimenticandoci del resto passammo un bel po’ di tempo a osservare la casa e a discuterne, e decidemmo di rivolgerci all’agenzia per vederla dentro.
Di lì a poco avremmo firmato il contratto preliminare di acquisto.
Prima però organizzammo la vista per vedere la casa in modo che l’agente sapesse che volevo misurare con i miei strumenti il campo elettromagnetico interno, ma non che volevo fare anche una rilevazione geobiologica di massima, individuando almeno gli scorrimenti veloci d’acqua sotterranea per capire se era possibile trovare un posto non disturbato per il letto: dopo la visita alla casa Marilinda doveva intrattenere fuori l’agente immobiliare chiacchierando mentre io facevo questo lavoro di percezione che mi richiedeva un po’ di tempo.

Nella piccola area di poco più di 80 metri quadrati che costituiva l’interno della casa trovai ben tre scorrimenti veloci di acque sotterranee a tre diverse profondità e di tre diverse nocività. Cominciavo a disperarmi ma individuai anche due aree che non erano interessate da questi disturbi e mi concentrai su quelle per capire se ci poteva stare il letto matrimoniale senza incorrere in qualche incrocio dei reticoli energetici.
L’area ottimale si trovava al centro di quella che allora era la cucina-cucinino, a sudest, e sarebbe davvero stato difficile sistemarci il letto anche eliminando le tramezze e rifacendo completamente la mappa interna.
L’altra area era appena appena giusta per il letto ma si trovava in una posizione favorevole a una sistemazione come camera da letto, in zona nordovest; essendo un po’ alto io avrei avuto i piedi in corrispondenza con lo scorrimento più superficiale e meno nocivo dei tre, ma la camera sarebbe uscita bene, me la vedevo già.
Così decidemmo di acquistare la casa.stato di fatto casa via Fusara
Il rogito, per vari motivi di disponibilità delle sei persone coinvolte che dovevano essere presenti contemporaneamente, fu fissato a fine agosto, ma ottenemmo dalle proprietarie il permesso di andare a fare sopralluoghi e misure per iniziare una bozza di progetto.
Rimisurando tutto, consapevole degli errori sempre presenti nelle mappe catastali, fantasticavo vedendo i vecchi ambienti trasformarsi in spazi completamente diversi e ogni volta che ci andavo la mia fantasia si faceva più reale e concreta.
Iniziai a buttar giù delle ipotesi progettuali partendo dalla divisione degli ambienti giorno e notte ponendo a sud la zona giorno e a nord quella notte, al posto di quel che avevo davanti agli occhi che era un soggiorno a nordest, un ingresso-corridoio in mezzo, la cucina a est con cucinino a sudest, una camera matrimoniale a sudovest e una cameretta a nordovest.

La casa è in un contesto periferico ma urbano e noi ci immaginavamo la nostra futura casetta come una casa moderna, non come una casa rurale; quindi nell’interno e nell’esterno le linee e l’aspetto generale che volevamo ottenere erano quelli di una abitazione moderna, ma non tecno, dove trovasse posto il nostro mobilio che era d’epoca e moderno assieme. Niente ferro o acciaio, ma legno dalle linee pulite e sobrie e rifiniture in alluminio satinato. Allo stesso tempo significava niente di rustico o country. Non fa per noi.libreria cassette frutta ok

Tanto meno lo shabby chic. Noi da giovani non disponendo di molti soldi abbiamo dovuto ricorrere alle proposte tipo shabby per arredare le nostre prime case. Io ho avuto per anni i libri in alcune librerie di cassette da frutta dipinte da me perché non potevo comperarmi una vera libreria. Ho dormito per anni su un letto matrimoniale che mi sono costruito col legno comprato al Brico e verniciato con il colore biologico. Ho avuto per un periodo le sedie della cucina tutte diverse perché di recupero e altri mobili comprati “da Emmaus”, una storica cooperativa veronese di rigattieri fondata per il reinserimento sociale di ex carcerati.

Per mia fortuna sono riuscito a superare quei frangenti e adesso il solo vedere un mobile finto-povero in stile shabby mi fa venire il mal di mare.
Della casa una cosa strana mi aveva colpito fin dall’inizio: c’era una grande cantina col soffitto a 227 cm da terra con l’accesso da una scala interna, ma questa cantina aveva una saracinesca in ferro, tipo garage, che dava su un piccolo cavedio dal quale partiva anche una scala esterna.

Questa “fesseria” non consentiva di portare dentro comodamente nemmeno una bicicletta e sembrava priva di senso, ma a me diede l’idea che trasformando parte della cantina in una ampia stanza si sarebbe potuto ricavarne uno studio professionale per mia moglie dove poteva ricevere i pazienti dall’ingresso esterno, senza che entrassero in casa.
Occorreva però scavare il fondo perché l’altezza diventasse quella minima di 270 cm da terra, un bel lavoraccio.

L’idea che a una certa età avrebbe dovuto lavorare meno e quindi, avendo meno reddito, rinunciare a pagare l’affitto del suo studio attuale in Centro, convinse Marilinda dell’opportunità di questa mia bella pensata che ci sarebbe costata un mucchio di soldi.
Man mano che i miei sogni diventavano disegni sulla planimetria ero sempre più convinto che ce l’avrei fatta nonostante i grossi problemi dovuti ai tre scorrimenti.

A metà maggio venne il mio collega geobiologo Marino a fare il rilievo completo delle zone di disturbo.

Lo avevo chiamato perché l’esperienza nella casa precedente mi aveva insegnato che se si fa il rilievo percettivo di casa propria si rischia di sbagliare poiché inconsciamente si fanno tornare le cose come si desidera: se il letto lo si preferisce in quella posizione si fa in modo inconsapevolmente di non percepire zone di disturbo in quella posizione. È una legge che vale per tutte le sfere della percezione sottile e anche per il Feng Shui. Se è casa propria prevale il desiderio di come si vorrebbe che fosse e non la realtà di come è davvero.

La mappa delle zone di disturbo complicò molto la progettazione dell’arredamento, ma mise delle posizioni precise alle zone da evitare.
A questo punto mancava solo la consulenza di Feng Shui e chiamai il nostro conoscente maestro di Feng Shui della Creative Feng Shui Academy che ci diede degli ottimi consigli, soprattutto per gli esterni, ma anche sulla posizione della stufa a legna che era ancora da definire.
Dopo questa consulenza riuscii a fare le ultime difficili scelte e a finire il progetto.

A fine agosto per il mio compleanno ci prendemmo una pausa e andammo a passare qualche giorno al Grand Haury, ospiti dei nostri amici di Aosta nella loro casa in montagna. Lui ha una ditta di impianti termosanitari perciò gli avevo chiesto consigli sull’impianto di riscaldamento.
Ottenni così l’idea innovativa di utilizzare una pompa di calore aria-acqua invece della solita caldaia a gas; avremmo sicuramente risparmiato parecchio sulle spese per il riscaldamento. In Valdaosta c’erano stati per anni dei finanziamenti regionali a chi le metteva e lui ne aveva installate parecchie, quindi mi diede una buona dritta anche sulla marca migliore da scegliere.

Per il mio interesse alle soluzioni ecologiche sapevo vagamente dell’esistenza di questo tipo di riscaldamento abbinato a un impianto a pavimento, ma a Verona non si aveva notizia di sue applicazioni concrete.
L’idea mi piacque e, ottenuta la promessa da parte del mio amico di un eventuale “sostegno a distanza” nell’installazione, decisi di metterla in pratica e convinsi anche la riluttante Marilinda. Avremmo speso circa il doppio per installarla, rispetto a una buona caldaia a gas a condensazione ma poi avremmo risparmiato parecchio nel riscaldarci rispetto ai costi sempre crescenti del gas. Guardando al nostro lontano futuro di vecchietti con due pensioncine questo era un argomento vincente.

L’amico architetto che doveva trasferire su CAD il mio progetto per presentare la SCIA (Segnalazione Certificata Inizio Attività) in Comune all’ultimo momento si accorse che il nuovo Regolamento Edilizio Comunale prevedeva che almeno un bagno fosse realizzato con la porta da 80 centimetri che dà sul corridoio e avesse una superficie di almeno 4 metri quadrati, oltre a tutti gli spazi interni sufficienti per muoversi con una carrozzella standard per infermi.
Io invece avevo progettato un bagno più grande “privato” con l’accesso dalla camera matrimoniale e un bagno più piccolo con l’accesso dal corridoio così mi toccò riprogettare completamente i due bagni, ma in questo modo ottenni un risultato finale più equilibrato, funzionalmente ed esteticamente migliore.

C’era poi il problema delle sbarre alle finestre, pesanti masse di metallo nero, che Marilinda riteneva giustamente utili per stare tranquilli ma io non sopportavo di vederle né da fuori né da dentro perché mi davano un senso di “prigionia”. Protezione è un conto, imprigionamento è un altro.
La recinzione del giardino nella mia idea doveva scomparire sotto una siepe di gelsomini alta almeno 180-200 cm da tutti i lati e ci voleva qualcosa che impedisse la vista della nostra proprietà dal piano superiore della casa davanti al lato sud. Io ho bisogno di “protezione”. Ho un brutto carattere…
Tecnicamente avevamo convenuto di impegnare parecchi soldi in un cappotto esterno e nell’isolamento sopra e sotto, nello scavo della cantina per portarla a 270 cm, negli impianti come il riscaldamento a pavimento e la relativa pompa di calore, oltre che nella sostituzione delle vecchie finestre e nella ventilazione meccanica controllata.

Avevamo comprato una casa in “classe G” che doveva diventare di “classe A”.

All’inizio di settembre fu presentata la SCIA e il 20 settembre iniziarono i lavori.
Il cantiere doveva durare poco poiché eravamo d’accordo che all’inizio del nuovo anno avremmo lasciato la nostra vecchia casa ai nuovi proprietari perché la sistemassero e la arredassero. In teoria dovevano essere circa 4 mesi, in pratica ce ne vollero cinque.
L’impresa comunque lavorava spedita senza lasciare tempi morti e il loro direttore dei lavori era veramente competente e bravo nel bilanciare l’interesse della sua ditta con quello del cliente.
Questo mi fu di molto aiuto per risolvere gli inevitabili problemi e imprevisti che sorgono in una ristrutturazione. Avevo scelto di andare in cantiere tutti i giorni per vedere come procedevano i lavori e se c’erano problemi e questo, assieme ai rapporti con le ditte per i vari acquisti e con gli artigiani per i vari lavori di impianti e finiture, divenne il mio lavoro dal momento che il primo settembre ero andato finalmente in pensione: invece di stare lì a guardare i cantieri, io lo stavo facendo un cantiere…
Sicuramente non avevo la sindrome della mancanza di attività tipica dei neopensionati maschi: io stavo lavorando molto più di prima quando andavo in ufficio. Però lavoravo per me, per vedere concretizzarsi la mia idea, il mio sogno, nel trasformare quella vecchia casa senza significato nella nostra futura residenza moderna e tecnologica, ma allo stesso tempo con un sapore “senza tempo”.

L’avevo pensata bianco calce, con sbarre, saracinesche e portoncino d’ingresso di un bel celeste cielo, simile alle case delle isole greche. La piccola dimensione e la povertà delle linee costruttive mi aveva richiamato le case tradizionali egee autocostruite dagli abitanti delle isole e questo avrebbe portato un elemento “marittimo” di cui sentivo la mancanza nella mia vita, e costituiva una “stravaganza” rispetto all’aspetto cupo e trasandato, severo e castigato, delle case vicine.
Ero sicuro che le sbarre colorate di celeste non mi avrebbero più dato quel senso di prigionia, e così è stato.
Avevo bisogno di una casa “diversa” ma allo stesso tempo semplice ed evocativa di un conosciuto bello e immediato come il bianco e celeste.
Così senza alterare troppo le pareti esterne e la facciata avevo in mente di ridare una nuova vita a quella casa vecchia e povera in tutti i sensi.
Volevo “rianimarla“.

Il cantiere fu il “reparto di rianimazione” speciale dove in un tempo abbastanza breve la vecchia casa moribonda era stata riportata a nuova vita.

Iniziarono con la demolizione delle vecchie tramezze e un paio di sventramenti per entrare con un piccolo scavatore. La casa sembrava una di quelle prese a cannonate in Iraq.
Proprio in quei giorni arrivò il perito della banca per la verifica e la valutazione dell’immobile relativamente alla nostra richiesta di un mutuo.
Era un giovane procuratore legale, non sapeva nulla di edilizia, vide la casa in quello stato e mi disse che la valutava pochissimo poiché era un “rudere”.
A nulla valsero le mie spiegazioni che si trattava dei lavori di isolamento termico e approfondimento e che la ristrutturazione alla fine avrebbe dato una casa in “Classe A”, non sapeva di cosa stessi parlando… gli mostrai il progetto pensando di convincerlo ma mi rispose che non gliene importava niente: lui vedeva la casa in quel momento e la valutava per quello che vedeva!
La cifra indicata come valutazione del “rudere” fu appena sufficiente a garantire il mutuo che avevamo richiesto, ma solo perché il mutuo era piccolo e il direttore della banca una persona intelligente, che quando mi feci ricevere piuttosto incazzato per avere spiegazioni del comportamento del perito mi diede ragione e si scusò spiegandomi che non era la banca a inviarlo ma un’agenzia con cui la banca aveva fatto un accordo, quindi lui riceveva solo la relazione, e leggendo quella su casa nostra non riusciva a capire il perchè di una cifra così bassa…

La prima fase fu quindi di “taglio e asportazione” di quanto più possibile: restarono intatte solo le pareti portanti, i solai e il tetto.
Subito dopo si dovette procedere alla “sottomurazione” poichè lo scavo della parte seminterrata era arrivato più in basso delle fondazioni.
Tra il terreno e le prime solette furono poste guaine e “igloo” per l’isolamento e l’aerazione anti umidità e anti Radon, con molti tubi che portavano all’esterno.
Una finestra a nord fu chiusa e la finestra del bagno spostata. Furono fatti gli squarci nei muri perimetrali per far passare i piccoli escavatori e la casa sembrava una di quelle prese a cannonate in Bosnia e poi un po’ tenute su perchè non crollassero…

Spuntarono come funghi le nuove tramezze. Si cominciava a “mettere” e questa fase sarebbe stata più lunga.
La vecchia scala interna di pietre appena sgrezzate doveva essere sostituita con una scala nuova ma fui convinto che avrei risparmiato una “discreta” cifra se invece di farla “asportare” avessi fatto costruire quella nuova sopra. Io ci cascai, ma nessuno pensò che così si alzava il livello dei gradini. Al momento del lavoro i muratori mi chiamarono per dirmi cosa dovevano fare per far tornare i conti non potendo “allungare” la scala. Io chiamai l’amico architetto, lui chiamò il capocantiere della ditta. Ci trovammo così io, due muratori, due tecnici edili a lambiccarci il cervello e a fare conti e disegni su pezzi di carta lurida e strappata senza andarne fuori. Si decise saggiamente di dormirci sopra.
La mattina dopo arrivai con Marilinda, che poi dovevo accompagnare a fare delle analisi in ospedale, e le mostrai il problema. Il capocantiere dela ditta era già lì che cercava una soluzione. Io ripresi a misurare. I muratori ripresero a scuotere la testa. Marilinda, che di lavoro fa la psicologa, disse candidamente: “secondo me si potrebbe fare un gradino ad angolo così ne viene un altro ad angolo sotto al posto del pianerottolo e si arriva al livello“.
Un silenzio di tomba accompagnò la sua frase, sguardi attoniti erano scambiati tra i maschi presenti. Il capocantiere ebbe l’illuminazione: usare il termine tecnico per dire lui la stessa cosa e salvarci: “sì, si può fare il pie’ d’oca e arriviamo giusti, mettetevi a misurare l’altezza dei gradini“.
Io neanche mi ricordavo cosa fossero i gradini a pie’ d’oca, ma Marilinda interloquì dicendo “sì, ci va un pie’ d’oca, non so come abbiate fatto a non pensarci“. La presi al volo dicendo a tutti che dovevamo correre in ospedale perchè si era fatto tardi e ci infilammo in auto prima che fosse mangiata viva dal capocantiere e dai muratori.

Venne il momento dell’impianto idraulico, non sapevo ancora che il preventivo sarebbe stato sforato solo del 60%.
L’idraulico era uno dei pochi di Verona che aveva già montato una pompa di calore aria-acqua come quella consigliatami dall’amico di Aosta.
Secondo le voci che circolavano nell’ambiente in città c’erano quattro o cinque condomini nuovi in Classe A che l’avevano, ma lui l’aveva montata a un condominio ristrutturato in provincia. Come abitazioni singole eravamo i primi…

Le conversazioni col centro di assistenza furono frequenti e lunghe ma alla fine i trecento tubi, valvole, manometri, installati fecero il loro dovere e al collaudo tutto andò liscio.
Prima però fu posato l’impianto di riscaldamento a pavimentoche era stato progettato dal termotecnico. Poco prima della posa mi accorsi che non c’erano giri di tubicino nei bagni; è vero che c’era un termoarredo abbastanza grande in ogni bagno ma io sono freddoloso e avevo già visto una stufetta elettrica sempre accesa, con il relativo consumo di corrente. Chiesi al termotecnico di modificare il progetto inserendo delle spire di tubicino riscaldante anche nei bagni, allargandosi dagli ambienti confinanti con le loro porte, ci fu una certa riluttanza del tecnico perchè non si usa, è considerato uno spreco, ma alla fine ottenni la modifica.
E meno male! adesso che ci abito vedo quanto teniamo più caldi i bagni delle stanze! Siamo freddolosi e ci piace che il bagno sia caldino.

Poi ci furono le tracce per l’impianto elettrico: dovetti fare un progetto di massima delle posizioni dei punti luce e sottoporlo a mia moglie che ne bocciò un paio. Dopo qualche altra discussione si arrivò a una mediazione senza la necessità dell’invio dei Caschi Blu.

Quando i punti venivano segnati sui muri con delle X di spray rosso dall’elettricista, questi – invece di seguire il mio progetto – faceva un po’ di testa sua perché così era meglio, e a casa finita al momento di mettere le lampade a muro o le alogene per non scatenare di nuovo le ostilità dovetti fare più di una traccia per spostare l’uscita dei cavi nel punto previsto; ma complessivamente tutto funzionava.
L’impianto era sezionato tra piano terra e piano seminterrato, e all’interno delle due sezioni tra prese e luce; poi c’era una terza sezione per l’esterno. In realtà nel vano della pompa di calore c’era un’altra scatola per gli interruttori delle pompe necessarie a rialzare gli scarichi del seminterrato e per la pompa dell’accumulo di acqua. Sì, perchè prima che portassero via lo scavatore mi era venuto in mente di chiedere all’idraulico di mettere interrata una cisterna da cinquemila litri per coinvogliarci l’acqua dei due pluviali che scendono dal tetto. Pensavo che si sarebbe messo le mani nei capelli che non ha, e invece aveva già fatto anche quel lavoro! Così in un punto del piccolo giardino, sottoterra, c’è una specie di sommergibile enorme che emerge con una botola da cui si accede alla pompa che spinge l’acqua all’accumulo dell’impianto di irrigazione.

Arrivò anche il momento dell’intonacatura degli interni e della posa dei pavimenti che avevamo scelto a liste grandi di gres porcellanato simil-legno esotico sisu malesiano, e sisu pakistano, più chiaro, per il seminterrato, perché il gres porcellanato è il materiale di finitura che fa passare meglio il calore del riscaldamento a pavimento ma non volevamo rinunciare a “vedere” il legno in terra.