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ANALISI PERCETTIVA DELLE STATUE-STELE DELLA LUNIGIANA

ANALISI PERCETTIVA DELLE STATUE-STELE DELLA LUNIGIANA

di Pier Prospero  2008/2012

Nel 2008 sfogliando una vecchia rivista sono rimasto colpito dalle foto delle statue-stele che avevamo visto e “analizzato” al museo di Pontremoli durante il corso di Geobiologia nel 1995.
Non ricordavo più di avere questa rivista, stavo per sistemarla nella libreria ma non ho resistito a riguardare le statue-stele che erano preannunciate dalla copertina.
Guardando due immagini di statue-stele la cui didascalia diceva “raffigurazioni di guerrieri” ho pensato no, non sono guerrieri e poi di colpo ho visto nella strana forma che contorna la testa, che a suo tempo ricordo ci fu descritta come “copricapo”, il manico di un pugnale.
Ho osservato meglio, colpito da questa cosa, e ho visto dove il mio sguardo aveva trovato il motivo dell’intuizione, e cioè nel pugnale tenuto da una delle due figure, del quale si vedeva solo il manico e un accenno di lama.
Allora sono tornato a osservare le figure alle pagine precedenti e ho visto che una tiene un pugnale molto ben sagomato che “messo in piedi” aveva il manico sagomato esattamente come la pietra-stele a cui apparteneva.
Mi è sembrato strano non aver riconosciuto a suo tempo, nel 1995, questa similitudine mentre avevo colto che i pugnali effigiati erano comuni a quelli di altre raffigurazioni micenee e indoeuropee.pugnali femminiliIn pratica le statuestele del museo di Pontremoli in Lunigiana sono la raffigurazione di pugnali piantati nella terra.
Una figura però, come un’altra femminile, non aveva il caratteristico “copricapo”.
Il pensiero mi è corso da solo a un “astuccio” dove riporre la lama, che avrebbe contenuto anche la prima parte del manico, e vedevo la zona incavata a dare una sembianza di viso umano stilizzato come un incavo dove mettere le dita per estrarre il pugnale.
Quindi queste pietre stele senza “copricapo” sarebbero state le rappresentazioni di pugnali in astucci, sempre piantati in terra.
Ma non potevano essere certo armi da guerra se erano custoditi in “astucci” ben poco pratici.statua stele astuccio okHo preso il mio pendolo e ho fatto appello al mio inconscio che aveva guidato la prima intuizione “casuale”.
Per prima cosa ho valutato il tenore energetico che attribuivo alle immagini della rivista, cioè l’effetto energetico inconscio provocato su di me dalla loro visione, ed era sempre inferiore a 100/6500 nella scala Bovis come tarata dal gruppo originario di GEA (derivata dalla taratura del nostro primo insegnante).

Ho preso la riproduzione in gesso che avevo in casa della statua femminile che mi era toccata da “analizzare” al museo di Pontremoli, la visione diretta e tridimensionale mi diede un risultato di 60/6500, quando ricordo che dal vivo a Pontremoli nei miei primi tentativi di questo tipo di misurazione ero arrivato sui 200 che era già un valore talmente basso che se trovato dal nostro insegnante era da lui considerato letale.
staue stele museo okAl museo di Pontremoli nel 1995 infatti mi ero soffermato su quella statua femminile perché mi turbava e toccandola mi venne l’immagine di un torrente di sangue, sangue versato violentemente ai piedi della statua per cui toccandola più in basso, dove probabilmente era infitta nella terra, la sensazione diventava terrore e morte.  Ero stato quasi male, anche perchè erano le mie prime esperienze consapevoli di queste percezioni.
Però quando riportai all’insegnante e al gruppo queste sensazioni legandole razionalmente ai sacrifici umani degli indoeuropei non ebbi molto successo perchè andavo contro le aspettative dell’insegnante, originario della Lunigiana di cui queste statue-stele sembrano essere divenute il siimbolo: si aspettava che le percezioni date da queste statue fossero buone o “positive” e nessuno riprese o discusse le mie sensazioni.

C’è sempre un grosso rischio nella percezione ipersensibile, ed è quello delle proprie aspettative su ciò che si analizza.

Guardando la rivista mi sembrava chiaro che le foto raffigurassero sacerdoti e sacerdotesse e non guerrieri e dee, e con il pendolo cercavo di fare degli screening di possibilità in modo da approfondire la mia intuizione.
La didascalia della foto delle statue-stele al museo di Pontremoli dice che l’allineamento in cui sono state trovate, lì riprodotto, non è casuale.
A me veniva l’idea che fosse un percorso che portava al luogo del sacrificio in cui non tutte le statue erano sede di sacrificio, come lo era invece sicuramente quella testata da me.

I risultati dei miei vari screening col pendolo sono questi:

le statue dicono “morirai” e segnano il percorso per il luogo del sacrificio, sono alternate maschili e femminili indicando la polarità yang e quella yin e il numero 1 e quello 2 evidenziati dal pugnale-fallo e dai seni; sono sacerdoti e sacerdotesse che danno la morte a molte vittime umane; sono simbolizzate dai pugnali con i quali davano la morte, i quali – essendo strumenti sacri – venivano usati solo per i sacrifici e poi riposti negli “astucci” per conservarne l’affilatura e come forma di rispetto sacrale.

Quindi il percorso era segnato in realtà dalla simbolizzazione dei pugnali sacri dei sacerdoti – con o senza l’astuccio – e sulle pietre che costituivano questa simbologia sono riportati i motivi ornamentali che erano su questi pugnali o su questi astucci, e cioè le armi sacre che sono sempre un pugnale e una specie di ascia o mazza, più le mani per i maschi e i seni e le mani giunte sul basso ventre per le femmine.
Sempre aiutando la mia percezione con il pendolo ho continuato lo screening delle possibilità:

il significato è di avviamento alla morte, ma il sacrificio non è basato sul versamento di sangue maschile a fecondare la terra come per i riti matriarcali, bensì venivano sacrificati sia maschi che femmine, adulti deboli o malati, in gruppo, come in una forma terribile di epurazione della comunità da elementi che potevano indebolirla. Il culto era dedicato al sole e non a divinità antropomorfe, né alla luna o alla terra.

Il contesto mi è sembrato subito simile a quanto avevo letto della Creta del periodo di transizione tra minoico e miceneo (1400-1200 a.c.) e mi ha richiamato alla memoria la ricostruzione del ritrovamento del famoso sacrificio umano nei resti del santuario di Anemospilia dove per scongiurare il terremoto un sacerdote e una sacerdotessa stavano sacrificando con un pugnale una vittima umana legata e per una forte scossa gli era caduto sopra il tempio uccidendoli tutti e tre (sulla sommità di una piattaforma fu trovato dagli archeologi un corpo maschile di circa 18 anni, in posizione fetale, giacente sul fianco destro; tra le sue ossa venne trovato un coltello riccamente intagliato, lungo circa 40 cm e del peso di oltre 400 g.). Si tratta dello stesso contesto culturale-religioso indoeuropeo solo che in Lunigiana, non avendo beneficiato del preesistente contesto culturale minoico, matrifocale ed evoluto, il livello è molto più rozzo che a Creta e quindi anche molto più vicino al culto originario indoeuropeo. Probabilmente si tratta di popolazioni osco-umbre cioè dei primi invasori indoeuropei arrivati in Italia da est circa 3500 anni a.c., o più di cui i Micenei-Achei del sacrificio di Creta sono una “coda”, cioè la stessa popolazione arrivata in una fase migratoria successiva.
Altre immagini che mi sono affiorate con la percezione:

I sacerdoti uccidevano le vittime con i pugnali, le sacerdotesse ne scolavano il sangue in un buco in terra alla base di una delle statue; il sangue delle vittime simboleggiava il “sangue cattivo” delle mestruazioni e nelle raffigurazioni delle statue le sacerdotesse hanno le mani a simboleggiare la vulva da cui questo sangue “impuro” esce.

Vi è un elemento di “purificazione” da qualcosa di femminile “cattivo” non utile e “impuro” che si ritrova anche nell’idea del “peccato originale” causato da Eva narrato dal libro sacro di un popolo indoeuropeo più indoeuropeo degli altri con i quali non voleva commistioni.

Alla fine della linea di statue che indicava il percorso vi erano due statue di pugnali di sacerdoti, una maschile e una femminile, dove avveniva il sacrificio: sotto quella maschile, forse su una pietra piatta, la vittima veniva uccisa dal sacerdote e in fianco sotto la statua femminile la sacerdotessa ne scolava il sangue in una buca alla base della statua; la comunità assisteva disposta a semicerchio davanti all’allineamento delle statue.

Questa immagine che mi è venuta nella disposizione dello sfondo di statue-stele, del percorso, del luogo del sacrificio e degli astanti mi richiama la forma dei teatri greci e romani, come se l’origine delle rappresentazioni teatrali fosse in questi riti cruenti.
Un culto terrorizzante e terribile che doveva tenere la popolazione nella paura di essere prescelti per la cerimonia in quanto “impuri” e questa “impurità” era ravvisata negli individui adulti deboli, malati o in qualche modo diversi, in modo non dissimile da quanto faceva nel medioevo la Santa Inquisizione.
Infatti le “cerimonie” di sacrificio umano dell’Inquisizione contro donne, omosessuali, eretici, si possono attribuire ad uno stesso contesto culturale indoeuropeo che nei millenni si era riempito di incrostazioni e superfetazioni, ma sotto era rimasto sempre il medesimo.
Il nazismo riportò drammaticamente all’attenzione nel secolo scorso queste idee con le persecuzioni di tutti i “diversi”, in particolare di zingari, ebrei, omosessuali, e con l’idea di una “razza ariana” superiore che avrebbe dovuto dominare il mondo; infatti gli ariani (o arii) erano una tribù di quei popoli che noi chiamiamo “indoeuropei” che, originari delle zone a est degli Urali, nel terzo millennio a.c. si mossero verso ovest, probabilmente in seguito a catastrofi naturali o perché cacciati dai Cinesi che erano in cerca di terre asciutte, e si erano spinti fino all’Inghilterra dove vi è una regione chiamata Northumberland, cioè north Umber land, la terra degli Umbri del nord, in Spagna dove vi è una zona chiamata “Umbria” e in Italia dove c’è la regione Umbria e una “foresta Umbra” (in Puglia), toponimi che indicano gli stanziamenti degli Osco-Umbri.
Questo primo movimento degli “indoeuropei” verso ovest e verso l’Europa è datato tra il 4000 e il 3500 a.c. e fu la causa della fine della maggior parte delle precedenti società matrifocali di agricoltori dei grandi fiumi o delle coste.
Si trattava di orde di feroci nomadi allevatori di animali e cacciatori che consideravano le donne e i figli esattamente come gli animali, proprietà e possibile merce di scambio, orde che purtroppo a differenza delle società agricole culturalmente evolute (si desume dalla raffinatezza delle loro ceramiche), conoscevano il cavallo e lo usavano per distruggere e uccidere. Il loro arrivo fu la fine del mondo agricolo precedente, basato sul culto della Madre Terra e sull’idea di un ciclo naturale da rispettare, e costituì l’inizio del nostro mondo culturale, diventato poi civiltà (?) Occidentale, che ha devastato il pianeta con le guerre e con l’aggressione a 360° a tutto l’ambiente naturale che sta giungendo fstalmente al suo epilogo.
La riproduzione in gesso acquistata a Pontremoli a ricordo della visita percettiva al museo è finita nella spazzatura…

Dopo alcuni anni, nel 2012, ho letto il libro “Kurgan, le origini della cultura europea” di Marija Gimbutas, ho scoperto qualcos’altro di interessante sulle statue-stele del museo di Pontremoli, “analizzate” percettivamente assieme a un piccolo gruppo nel lontano 1995 stando a occhi chiusi con una mano ciascuno su una statua (i guardiani finsero di non vedere…), e ho scritto queste altre note:
Vedendo sul libro il disegno che riproduce due statue stele trovate nell’area del Dnepr databili all’incirca al 3000 a.c. ho riconosciuto la staue stele del Dneprsomiglianza con quelle della Lunigiana a testimonianza che si tratta dello stesso popolo (“indoeuropei”, sanguinari, violenti, classisti e patriarcali).
Di seguito copio la descrizione della Gimbutas: «le tombe a forma di casa dei Kurgan (i primi indoeuropei – kurgan significa tumulo), fatte di tronchi o di lastre di pietra, erano coperte con un mucchio di terra o di pietre e poi chiuse con una stele in pietra. La stele in origine presentava incisioni con forme umane e in alcune di esse si indicavano gli attributi maschili. La figura reggeva in mano un’ascia o una mazza; in un caso un arco. Si mettevano in mostra cinture e talvolta anche delle collane. La stele probabilmente ritraeva una divinità maschile, forse un dio del tuono, la cui figura compariva scolpita anche nelle lastre delle tombe a “cista”»
Le statue-stele sono quindi le pietre di chiusura di antiche tombe a tumulo.Statua stele femminile ok
Da altri passi del libro si capisce che questo popolo praticava sacrifici umani in gran quantità.
La mia percezione di molto sangue umano e uccisioni toccando la stele femminile al museo è quindi confermata dal fatto che per un lungo periodo di tempo (svariati secoli) fossero praticati sacrifici umani ricorrenti su queste stele quando erano ancora le “porte” delle tombe di qualche antenato importante.
Il quadro delineato dalla mia percezione del 2008 potrebbe perciò completarsi in questo modo: il percorso della morte che portava al luogo del sacrificio non era segnato solo da statue-stele, ma da tombe a casa, fatte di legno e ricoperte di terra e sassi, delle quali le statue-stele erano le “porte”. Così il sacrificio era fatto anche per gli antenati degli invasori, i capi mitici delle prime orde.
La dea-sacerdotessa rappresentata dalla stele femminile era probabilmente la Terra nel suo aspetto terribile di quella che riceve i morti, ereditata dai culti delle popolazioni matrifocali precedenti, ma trasformata da questi “popoli dei kurgan” in una dea assetata di sangue umano che doveva bere per nutrire gli spiriti degli antenati.
Se i popoli agricoli pre-indoeuropei sacrificavano solo forse una volta all’anno per propiziarsi la fertilità, questi sanguinari potevano fare continui sacrifici umani per ogni tomba e sacrificare parecchie persone contemporaneamente.
Per capire l’entità della loro ferocia occorre considerare che all’inizio dove passavano lasciavano le città degli agricoltori (molto più civili di loro) distrutte, deserte e disabitate per anni; in altre zone al loro avvicinarsi intere popolazioni scappavano evidentemente avendo saputo che per chi veniva trovato non c’era scampo. Attualmente gli archeologi si spiegano in questo modo la fine delle grandi città dell’Indo, Harappa e Mohenjo Daro.
In una prima fase dei loro spostamenti verso occidente i kurgan distruggevano tutto e uccidevano tutti quelli che trovavano; in una seconda fase (2500 a.c.) probabilmente uccidevano solo gli uomini e lasciavano delle risorse perché vi sono culture “integrate” nate dalla fusione tra la loro e quella sottomessa, e città che non sono state abbandonate. Erano invincibili perché avevano i cavalli, anche se all’inizio non li cavalcavano, li usavano per trainare dei carri veloci.
Ai nostri tempi quelli che hanno mantenuto più vivi questi “simpatici” costumi originari sono gli afghani Pastun (Marco Polo nel Milione ringrazia i Mongoli che unici erano riusciti a sterminare gli abitanti di quelle zone che uccidevano tutti i mercanti e a riaprire la via della seta).
Noi siamo discendenti di celti, greci e romani che sono popoli ben più civili, derivati dalla fusione degli aggressori indoeuropei con i coltivatori matrifocali, ma in fondo questi nostri antenati avevano tutti più o meno le stesse idee di base che, se si tolgono gli “abbellimenti” culturali, sono sempre quelle dei nostri cari Pastun.

La lotta tra devastatori sanguinari e agricoltori rispettosi della natura e magari praticanti antichi riti di fertilità continua a emergere a tratti nelle pieghe della storia europea più che altro per la feroce repressione da parte dell’Inquisizione.
Per me si tratta della perpetuazione della lotta tra discendenti dei “kurgan” e discendenti dei popoli precedenti (i matrifocali delle statuette femminili di cui le più antiche risalgono al 36000 a.c. e le ultime sono in Sardegna e a Creta del 2000-1400 a.c.) che avevano una cultura di 30 millenni in cui erano arrivati a livelli di civiltà molto elevati, non avevano fortificazioni, non facevano la guerra, l’individuo era in secondo piano rispetto al gruppo sociale, le terre erano collettive e solo assegnate a chi le lavorava, la discendenza era matrifocale, il governo era in mano ad una sacerdotessa e ad un consiglio di donne anziane (probabilmente le ex sacerdotesse non più in età riproduttiva), … ma non avevano i cavalli.
Idee di una società del genere, mitica età dell’oro, riemergono ciclicamente da un inconscio quasi “collettivo” da Bruno a Cromwell a Engels.
Attualmente per me potrebbero essere sintetizzabili nello scontro tra il capitale finanziario che devasta il pianeta, da una parte, e gli ambientalisti che cercano di salvare il salvabile dall’altra, i primi usano le armi più incredibili e senza alcuna remora ad uccidere chiunque, i secondi agiscono in maniera non violenta. A ciascuno di noi scegliere i suoi antenati preferiti…
Tornando alle statue-stele, l’allineamento in cui alcune stele erano state trovate in Lunigiana può quindi essere stato quello di tombe a tumulo (kurgan) fatte di legno, sepolte da terra o ciottoli, materiali poi andati dispersi per il dilavamento.
Dato che nel 1995 dall’archeologia nostrana e dal museo di Pontremoli nulla di tutto ciò si era potuto venire a sapere, e vedendo che le mie percezioni sono abbastanza confermate e quindi non sono frutto di mie proiezioni mentali, mi sembra interessante condividere questa esperienza percettiva e la realtà archeologica delle statue-stele.